Le storie dei nostri bambini

LE STORIE DEI NOSTRI BAMBINI

Queste sono solo alcune delle storie dei tanti, tantissimi bambini che incontriamo ogni giorno in reparto.
Qualche racconto è stato scritto da loro o dai genitori, altri da noi. Qualcuno ce l’ha fatta, qualcun altro purtroppo ci ha lasciato.
Leggendole si può meglio comprendere quello che facciamo.

Una meravigliosa storia di amicizia, luglio 2014

I bambini possono insegnarci molto e i bambini ammalati ancora di più. Ci dimostrano come insieme si può superare un ostacolo che può sembrare così grande, da apparire insormontabile. Ci fanno capire l’importanza di valori come l’amicizia, la solidarietà, l’accorgersi delle difficoltà dell’altro nonostante le proprie difficoltà legate alla malattia.  E ci confermano come il Ponte del Sorriso sia un “bosco” ospedale che si prende cura, che favorisce le relazioni, dove è possibile cogliere delle opportunità, una riserva di energie positive. L’amicizia tra le bambine M e S è nata nel “bosco” ospedale. S. ha grandi occhi azzurri, è coraggiosa, espansiva, ha una parlantina invidiabile, conosce bene “il bosco ospedale” perchè vi ha trascorso molti giorni.  M.  è più taciturna, non conosce ancora bene i sentieri e le creature che abitano il bosco ed è molto spaventata. Un giorno la bambina più coraggiosa incontra per strada la bambina silenziosa e vedendola così spaventata le prende la mano e l’ accompagna nella sua stanzetta. Le mostra i suoi disegni, il suo letto, le  foto del coniglietto lasciato a casa; la bambina silenziosa osserva attenta, non dice ancora nulla, ma la mano stretta in quella della bambina coraggiosa la fa sentire più sicura, meno sola nel bosco sconosciuto.
La bambina coraggiosa è una principessa e decide di trasformare in una principessa anche la bambina silenziosa; le due bimbe si truccano, si pettinano come se dovessero andare alla festa nel castello del re. Ma è giunta l’ora della cena e M. non ha nessuna voglia di mangiare. La bambina coraggiosa allora organizza un gioco a premi per farle mangiare qualcosa e aiutare la bambina silenziosa.
Ogni giorno la bambina silenziosa è sempre un po’ meno silenziosa. Accompagnata dalla bambina coraggiosa, per lei il bosco sta diventando meno minaccioso e tra le fronde degli alberi è spuntato qualche fiore colorato.

GIACOMO, maggio 2013

Poco più di due anni fa ci giunge la mail di una mamma: “Il mio bambino deve essere ricoverato per un tumore al cervello e deve subire un’operazione; ho letto quello che fate, ci potreste aiutare ad affrontare quello che ci aspetta?”. Una famiglia giovane, come tante, che si trova improvvisamente alle prese con la malattia del proprio figlio. Ci rendiamo subito disponibili e da quel momento nasce un legame fatto di affetto, ascolto, comprensione, vicinanza, ma anche di tanti sorrisi.
Giacomo è un bambino di otto anni solare, che ama sciare, giocare a calcio e disegna in modo incredibile dei bellissimi cavalli che sembrano in movimento. Fin dal primo incontro ce ne innamoriamo e impostiamo insieme ai Dottor Sorriso dell’associazione “I colori del sorriso Onlus”, una serie di attività ludiche per cercare di prepararlo a tutto il dolore che lo attende: due lunghissimi, interminabili interventi, uno a Varese, l’altro in Germania, un mese a Boston, in uno dei pochissimi centri al mondo in grado di fare qualcosa per fermare la sua rara forma di cancro.
Il primo sorriso, dopo il coma farmacologico in rianimazione a Varese, con il papà che piange di gioia, è con noi, mentre gli ricordiamo i giochi che avevamo lasciato in sospeso in attesa del suo risveglio. La prima parola gli esce dopo tre giorni, spontaneamente, preso dalla voglia di rispondere al gioco dei suoi amatissimi clown, mentre tutti si stavano chiedendo, preoccupati, perché non parlasse.
Quando Giacomo torna dall’America, al trasporto, dall’aeroporto fino a casa, ci pensa l’Ambulaclown, un’ambulanza particolare tutta colorata e divertente. E lui ride felice, felice come quando i clown erano andati a trovarlo fino in Germania.
E’ passato quasi un anno, Giacomo ha scalato le montagne, ma ce l’ha fatta! E’ un bambino forte e coraggioso, che non ha mai mollato e che non si è mai, mai, lamentato. E noi con i clown, siamo sempre stati lì accanto a lui, per dargli emozioni positive che potessero contrastare tanta sofferenza.
Passa un altro anno, Giacomo sta bene ma siamo ancora insieme. Lui e la sua famiglia partecipano ad ogni occasione che organizziamo per i piccoli del Ponte del Sorriso: la grigliata nel bosco, la festa di ottobre “Un sorriso per il Ponte”, l’iniziativa con i Vigili del Fuoco per la giornata in caserma, da ReMida per i laboratori creativi. Giacomo è cresciuto, la famiglia è serena e tutto il passato sembra ormai lontano.
Un giorno Giacomo si sente male, una corsa in ospedale e una meningite fulminante ce lo porta via in un soffio!  Il cuore va in pezzi, non ci possiamo credere, dopo tutto quello che è riuscito a superare! E un perché rimane senza alcuna risposta.
Giacomo ci manca già. “Noi pensiamo di aver avuto due anni della sua vita in regalo, due anni che sono serviti a renderci più forti in questo momento” ci dicono, stretti in un abbraccio, la mamma e il papà “Con voi Giacomo ha vissuto esperienze bellissime, che hanno reso intensa la sua esistenza e che senza di voi non avrebbe mai potuto provare”.
Ciao Giacomo, vai fiducioso tra gli Angeli. Alcuni di loro sono clown e ce n’è anche uno paffutello che fa fiori e giochi di carta, come Claudiona. In Paradiso ci sono le vette innevate per sciare e un campo per giocare a calcio. E quando l’arbitro chiamerà, risponderai, come hai sempre fatto “Numero 3, grazie”.

ALESSIA E ANDREA, luglio 2012

Alessia e Andrea sono due bambini di 6 anni, ai quali una malattia oncologica ha sconvolto l’esistenza. Giorni e giorni di ricoveri in ospedale, ore e ore di pesanti terapie, decine e decine di visite e indagini diagnostiche.
La loro realtà quotidiana non è più scandita solo dai giochi e dalle attività con gli amici, ma da ritmi necessari a combattere la patologia. Ma se il loro corpo è alle prese con una guerra interna per sconfiggere il nemico e si trasforma momentaneamente, perché i capelli cadono oppure il viso diventa un po’ gonfio, la mente e il cuore rimangono quelli di prima. Alessia e Andrea sono sempre gli stessi bambini, la malattia non ha bloccato la loro voglia di vivere, di crescere e di fare le medesime esperienze dei coetanei.
Un giorno Andrea sente i suoi genitori parlare di San Valentino. Curioso, come lo sono tutti i bambini della sua età, chiede il significato di quella particolare ricorrenza. Andrea in quei giorni è per fortuna a casa, ma Alessia, invece, è in ospedale.
Una volta scoperto cosa rappresenti quella particolare data, insiste per essere portato a fare visita alla sua amica. Crea per lei, con le sue mani che hanno tanto lavorato e imparato in sala giochi, un bellissimo cuore, decorato con perline, e il 14 febbraio va a trovarla al Ponte del Sorriso, per donarle quel regalo preparato con tanto amore.
Non è all’asilo o sui banchi di scuola, ma tra i letti di un ospedale, che tra i due piccoli nasce un tenero sentimento! Purtroppo ci sono bambini per i quali l’ospedale diventa il luogo dove trascorrono molto tempo e dove succedono eventi che avrebbero dovuto avvenire altrove, come il primo batticuore. L’ospedale diventa quasi una seconda casa e come tale deve essere un ambiente accogliente e stimolante, dove si favoriscono le relazioni e si fa in modo che la creatività infantile non subisca alcun arresto, lasciando spazio alle emozioni. Per garantire al piccolo non solo di guarire, ma di guarire giocando, senza traumi.

ANGELICA, novembre 2012

Avevo 17 anni, ero in vacanza ed era agosto. Un giorno ho sentito una pallina sotto l’ascella. A settembre, tornata a casa, ho svolto diversi esami, ma non era stato rilevato niente di strano, a parte la ves alta, un valore del sangue che indica un infezione in corso. Qualche giorno prima della fine di dicembre un altro linfonodo sul collo si era gonfiato, a quel punto sono stata portata in Pronto Soccorso per poi essere ricoverata all’Ospedale del Ponte di Varese. 
Dopo una settimana sono stata operata e la settimana dopo mi hanno diagnosticato un linfoma di Hodgkin e ho iniziato dei cicli di chemioterapia. Io non sapevo cosa volesse dire chemioterapia, sapevo che era una cosa brutta perché mio nonno era morto di un tumore e quindi ero spaventata, ma dopo i dottori mi hanno spiegato e mi hanno tranquillizzata. Le uniche due domande che mi giravano per la mente erano: perderò i capelli? E potrò continuare a fare danza? Ad entrambe mi è stato risposto di si, che potevo continuare la mia vita normalmente.
Ogni settimana andavo in day hospital per fare la chemio e i relativi controlli settimanali. Io ero tranquilla, mi sentivo forte, mi dispiaceva vedere i miei genitori che erano preoccupati. Io ho imparato a convivere con la malattia e con i cambiamenti fisici che comportava, avevo perso i capelli, ero molto debole, avevo continuamente la nausea. La cosa che mi faceva soffrire era il fatto che l a malattia aveva preoccupato tanto mia mamma al punto da negarla agli altri ed io ero costretta a fingere con gli altri che stavo bene, che non avevo niente. Questo portava mia mamma a non uscire di casa per non incontrare le persone, per non rispondere alle domande che le potevano fare.
All’inizio io volevo portare la parrucca per andare a scuola, per non essere al centro dell’attenzione e per non subire gli sguardi delle persone che inevitabilmente anche senza cattiveria cadono sulle persone senza capelli. Alla fine ne ho acquistata una simile alla pettinatura che avevo prima di iniziare la chemio, ma non era la stessa cosa. Ero ritornata ad avere i capelli lunghi, ma non erano i miei. Ho imparato a convivere con questa parrucca, ma la odiavo. A luglio, finita l’ultima chemio dopo una settimana sono partita per le vacanze, ho lasciato a casa la fastidiosa parrucca nonostante l’insistenza di mia mamma nel portarla con me, ma io invece sono partita con la mia bandana, che ho tolto dopo due settimane. E così mi sentivo più libera e a mio agio senza la parrucca e senza la bandana.
Fare danza mi ha aiutato, era l’unico conforto che avevo perché mi piaceva e non dovevo nascondermi da niente e da nessuno, mi sentivo quella di prima nonostante le cure. Durante le mie degenze in ospedale mi ha aiutato molto che ci fosse la sala giochi perché mentre facevo la chemio e stavo male passavo tutto il mio tempo lì e mi distraevo. Perché le giornate in ospedale possono essere tremendamente lunghe quando stai dalla mattina presto fino al pomeriggio.
C’erano anche altri bambini con i quali giocavo e mi divertivo con loro e da lì ho deciso che mi sarebbe piaciuto diventare volontaria per il Ponte del Sorriso. Ho conosciuto persone speciali, in particolare Claudiona, con la quale ho fatto fiori e fiori di carta per dimenticare la nausea tremenda soprattutto durante le ultime chemio. Mi ha aiutato molto frequentare anche la scuola in ospedale, mi preparavo per le verifiche e le interrogazioni in modo da non rimanere indietro nelle lezioni.  E’ stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita, ho capito molte cose importanti, i valori che contano, lo stare insieme agli altri, aiutare gli altri quando sono in difficoltà. Nonostante la malattia, ho cercato di vivere una vita normale da adolescente, con le amicizie, gli amori, proprio come mi era stato detto dal dottore. Quell’anno ho persino fatto l’esame per la patente.
Adesso sono guarita, sto bene, mi sono ricresciuti i capelli, ho una vita normale, faccio i controlli di routine e faccio la volontaria del Comitato Tutela Bambino in Ospedale per il Ponte del Sorriso.

ANDREA, primavera 2012

Andrea, Luca, mamma Alessandra e papà Orazio. Questa è la nostra famiglia, normale come tutte le altre, alle prese con gli aspetti quotidiani della vita, l’asilo, il lavoro, una casa da gestire, gli amici e i parenti. Andrea, ha 6 anni e mezzo, un bambino curioso e vivace.
Luca, ha 4 anni, ha due occhioni blu, è vivacissimo e un intuito straordinario. Questi sono i nostri tesori. Andrea piano piano inizia a perdere vivacità e a manifestare una certa febbriciattola. Il suo pediatra ci consiglia di portare Andrea all’Ospedale del Ponte. Dopo una prima visita, prelievi, attese e poi ancora accertamenti ed esami, Andrea viene ricoverato. Non ci rendiamo conto di ciò che sta succedendo. Ci chiediamo perché siamo in quella camera tutta decorata di bellissime stampe che rappresentano scene di vita quotidiana di scoiattoli e topini. Non possiamo immaginare che ci avremmo passato molte notti. Il Prof. Nespoli con grande calma e chiarezza ci spiega cosa succede ad Andrea: leucemia.
Una famiglia normale, presa da mille cose, problemi, progetti, aspettative, a un certo punto catapultata in una realtà inimmaginabile, surreale. Può capitare di tutto nella vita, ma quando succede qualcosa ai propri figli, succede che dentro di se avviene la devastazione, lo strazio! La propria vita non ha più significato, il lavoro non ha più significato, l’unica cosa che conta è stare vicino a lui, soffrire con lui, gioire per i piccoli progressi, l’unica cosa che conta è che lui ci veda sereni, quando dentro si è’ totalmente azzerati, è che lui trovi in noi l’appiglio giusto che lo aiuti a stare sereno e gli dia la forza di combattere. Questo conta. Inizia un percorso di terapia lungo e faticoso per Andrea, molto tempo passato in ospedale. ma lui non si lamenta mai, non si lascia abbattere dai dolori e dai sintomi della chemio. E qui impariamo la straordinarietà e l’umanità di medici e infermieri che curano il nostro bambino.
Una domenica pomeriggio, durante la sua degenza al Ponte di Varese, un’animatrice della sala giochi, coinvolge Andrea nel gioco del dottore, con strumenti veri, aghi compresi ed il camice bianco. Da allora si è appassionato talmente tanto a questo gioco terapeutico, che ormai tutti lo chiamano dottor Andrea e oggi, ha un’attrezzatura a casa, che fa invidia ad una sala ospedaliera. La sua forza sta nell’aver utilizzato questo gioco per esorcizzare tutto quello che ha dovuto subire in questi mesi di terapia. E’ stato sorprendente vederlo passeggiare per i corridoi dell’ospedale con l’aria impettita di un grande luminare della scienza e maneggiare flebo e siringhe con una dimestichezza impressionante, questo dimostra con quanta attenzione lui osserva quello a cui e’ sottoposto e poi lo replica nel gioco. A volte per giornate intere non riesce ad uscire dal ruolo.
Non dimenticheremo mai il primo incontro con Claudiona che con i suoi lavori di carta e il suo magnetismo ha affascinato Andrea a tal punto che ha riempito la casa di animaletti e fiori. Lui è attratto da tutte le attività, dal fare i biscotti o la pizza, al suonare qualche strumento musicale. Anche per chi sta vicino ad un bambino in ospedale il supporto dei volontari è fondamentale. Noi abbiamo passato momenti veramente duri, soprattutto durante i lunghi ricoveri in cui Andrea non poteva uscire dalla camera per il pericolo di contrarre infezioni, in cui le giornate non avevano colore, l’unico appiglio era la presenza di qualche volontario che con un sorriso o una chiacchierata distogliesse la mente dai pensieri negativi e distraesse Andrea con qualche gioco. Abbiamo conosciuto una realtà nuova, una faccia del mondo che non si è abituati a sentire perchè non fa notizia, ma che è un fiume d’amore di scambio positivo, un supporto fondamentale a nostro avviso, al lavoro dei medici ed infermieri. Alcune mattine al richiamo ad alzarsi per andare in ospedale a fare le terapie, Andrea è spronato solo dal pensiero di trovare Claudia, Elena, Renata ecc. che gli facciano fare qualcosa di interessante.
Andrea oggi sta bene. Mentre scriviamo queste righe lui è accanto a noi, lo guardiamo e ci accorgiamo di quanta grazia abbiamo avuto nell’averlo qui con noi, di godere della sua presenza e della gioia di poterlo abbracciare.

FABIO, luglio 2011

Ci sono bambini e ragazzi la cui vita improvvisamente cambia e si adegua ai ritmi della malattia che si impadronisce della loro esistenza. Così è successo a Fabio, adolescente. Scuola, amici, uscite, tutto scandito da chemio, radioterapie, tac, risonanze magnetiche, ricoveri in ospedale, visite. Ogni giorno è una battaglia da combattere. Ogni giorno è speranza di vincere la guerra.
Mai, come durante queste esperienze, diventa importante cercare di mantenere le piccole realtà quotidiane, come un’ancora di salvezza alla quale aggrapparsi.  E anche essere tifosi di una squadra di calcio e di basket, può regalare attimi di gioia da ricordare nei momenti difficili per trovare la forza di lottare.
Emanuela riesce a contattare la Fondazione Milan e a fissare un incontro ravvicinato per Fabio con i suoi campioni. Incontro che regala tanta emozione ad un ragazzo che deve affrontare ancora dure prove per sconfiggere il male.
Fabio però peggiora e dopo un’infinità di chemioterapie, un’operazione molto invasiva e tanto, troppo tempo costretto a letto, comincia a sentirsi stanco e impotente, verso quel mostro che gli sta rubando la spensieratezza dei suoi anni.
Fabio, ha, tra i personaggi sportivi, qualcuno che gli è particolarmente caro. Uno di questi è il campione di basket Gianmarco Pozzecco.  Il Ponte del Sorriso chiama, Gianmarco risponde. Entro poche ore dalla telefonata, senza alcuna esitazione, il mitico cestista arriva in ospedale. Fabio lo aveva già conosciuto in un’altra iniziativa organizzata dal Ponte del Sorriso.
Fabio ha un bellissimo sorriso, dolce, che però comincia a farsi sempre più raro sul suo volto. Eppure quando sorride il suo viso si illumina. Gianmarco, con la sua simpatia innata e travolgente, trascorre parecchio tempo con lui. Nonostante la differenza d’età, lo tratta come un compagno di giochi, lo prende in giro, lo fa ridere ricordando alcune sue bravate. E la malattia per un po’ esce dal campo per cinque falli.
E’ come se la vita di questi ragazzini scorresse su un treno sul quale viaggiano la malattia, la paura, le medicine, la sofferenza, il dolore, l’ospedale, i dottori, le terapie, ecc., un treno che corre veloce con una sola meta: la guarigione. Ma, accanto, corre un altro treno. Quello con i giochi, la musica preferita, le attività piacevoli, la squadra del cuore, le emozioni, la serenità, ecc., insomma, la parte sana. Questo secondo treno viaggia parallelo al primo, alla stessa velocità. Ed è sempre aperto, con noi volontari pronti ad accogliere il bambino, l’adolescente ogni qualvolta abbiano bisogno di saltarci su.
E’ il treno dei sorrisi.
Fabio vorrebbe andare a scuola, incontrare gli amici, trovare una bella ragazza di cui innamorarsi, progettare il futuro ….. Invece, combatte contro un nemico non gli concede tregua e che, purtroppo, vince.

MARTINA, maggio 2011

E’ difficile accettare la malattia di un bambino, impossibile comprenderne la morte. Rimane in tutti noi una domanda alla quale fatichiamo dare una risposta. E ancora più difficile è capire la sofferenza che, a volte, questi piccoli angeli devono sopportare.
Ci sentiamo impotenti davanti a un evento che vorremmo non vedere, cancellare dai nostri occhi e dalla nostra mente, strappare dal nostro cuore, pur consapevoli che “la vita continua”. E lo strazio dei famigliari non trova in noi parole che possano alleviare tanto dolore, se non appena appena consolare.
Martina era una bambina sorridente. Quando la scorsa estate è stata ricoverata al Ponte del Sorriso, adorava passare il tempo in sala giochi. Proprio non si riusciva a staccarla dalle attività che le venivano proposte ogni giorno!
Tornata a casa, una mattina, nel suo letto, non si è più svegliata. I genitori hanno subito voluto dare un senso a ciò che non sembrava avere alcun senso. E hanno chiesto a parenti, amici e conoscenti di devolvere un contributo a favore dei bambini in ospedale, “Il Sorriso di Martina”.
Emanuela e Claudiona del Ponte del Sorriso sono andate a trovare la mamma e il papà, che hanno voluto portarle in camera di Martina e la commozione è stata incontenibile. Sulla sua scrivania una scatola colorata, aperta, conteneva tanti fiori di carta, quelli che aveva confezionato con le sue mani in sala giochi. Non si capisce mai abbastanza cosa può rappresentare, per un bambino, un pezzo di carta che, come per magia, diventa una farfalla, un fiore, un ranocchio o un topolino.
Martina ha conservato per mesi i suoi fiori di carta, come un caro ricordo di un’esperienza da non dimenticare, come un filo condutto mai spezzato.
E’ bello pensare che un bambino, in realtà, non muore mai.